La nomofobia, dall’inglese no-mobile e dal suffisso fobia, definita anche sindrome da disconnessione, è il disagio legato al non avere il telefono cellulare con se, alla paura di perderlo, e di non essere rintracciabili.
È sempre più presente nella popolazione e non solo tra i giovani, la paura di restare disconnessi dal mondo virtuale. Il fenomeno è così diffuso che la SIPPS (Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale) ha sottolineato il bisogno di creare delle linee guida per limitare il più possibile l’uso dei telefonini ai bambini, evitandone totalmente l’uso prima dei 10 anni e limitandone l’uso successivamente.
Una ricerca del 2012, commissionata da AVG, celebre casa di software che realizza antivirus e altri programmi per la sicurezza del computer, ha evidenziato che oltre il 50% dei bambini, tra i 2 e i 5 anni di età, sa già giocare ai giochi su tablet di livello base, mentre, appena l’undici percento (11%) di loro sa allacciarsi le scarpe.
Pertanto, nonostante ci siano all’attivo ancora un numero ridotto di ricerche sul tema, già nel 2014 gli italiani Nicola Luigi Bragazzi e Giovanni Del Puente, ricercatori dell’Università di Genova, avevano proposto di inserire questa patologia, la nomofobia, nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5).
Il dizionario Treccani definisce il termine nomofobia come “Il terrore di rimanere privi del telefonino.” Viene riportato che la ricerca, commissionata a YouGov dal dipartimento per la telefonia delle Poste, ha concluso che soffrono di nomofobia il 53% degli utenti di telefonia cellulare del Regno Unito. Secondo il sondaggio, questa sindrome colpisce più gli uomini (58%) che le donne (48%). (Repubblica, 1° aprile 2008, p. 25, Cronaca).
Quando si può parlare di monofobia.
Quando chi ne soffre prova una paura sproporzionata di rimanere “staccato” della rete mobile, al punto da sperimentare effetti fisici simili all’attacco di panico, come mancanza di respiro, vertigini, tremori, sudorazione, battito cardiaco accelerato, dolore toracico, nausea.
La sofferenza transitoria legata al non avere il telefono cellulare a portata di mano o alla paura di perderlo, spesso accompagnata da sensazione di panico che scaturisce da pensieri come quello di non essere rintracciabili, la necessità di un costante aggiornamento sulle informazioni condivise dagli altri e la consultazione del telefono in ogni momento e in ogni luogo, possono presagire la presenza di un problema di natura psicologica. Soprattutto tra gli adolescenti soggetti maggiormente a rischio di sviluppare una nuova forma di dipendenza patologica.
Quali sono i comportamenti sospetti?
Trascorrere molto tempo sul telefono cellulare, provare ansia e nervosismo al pensiero di perderlo, tenere con sé uno o più dispositivi e carica batterie, toccare e guardare di continuo lo schermo dello smartphone per verificare se ci sono notifiche, mantenere il telefono acceso anche di notte, andare a letto con il cellulare o con il tablet o usarlo in posti poco pertinenti, sono comportamenti spesso associati alla nomofobia; tuttavia molti di questi, in determinate circostanze di lavoro, familiari, ecc., possono essere funzionali alla vita della persona. Pertanto, non sono sempre patognomonici o prodromi della nomofobia.
Il soggetto che presenta questa sindrome cerca il contatto continuo ed esasperato con l’apparecchio tecnologico che gli fornisce la sensazione di tenere sotto controllo il “proprio mondo” costantemente. La possibilità di poter installare App che permettono al cellulare di potenziare e ampliare le sue funzionalità, lo rendono e lo trasformano in un congegno elettronico molto più complesso e articolato di un semplice dispositivo di comunicazione, estendendone le sue funzioni in modo pressoché illimitato.
Uno dei principali rischi della nomofobia è quello di innescare delle dinamiche di dipendenza patologica che una volta attivate danno vita a meccanismi disfunzionali dai quali risulta difficile uscirne. Tali meccanismi portano a sviluppare una paura profonda, simile all’angoscia, di restare senza internet e/o senza cellulare. La paura di essere disconnessi può portare ad esperire vissuti di ansia e depressione e anche la sola idea di essere senza lo smartphone genera malessere, irrequietezza ed aggressività.
Molte persone, specialmente quando si trovano lontane da casa e non dispongono di molte risorse (soldi, amici a cui chiedere aiuto, ecc.), possono in alcune circostanze sviluppare una forma di paura, ansia reattiva alla situazione di stress che stanno vivendo, associata alla paura di restare esclusi dall’unica (spesso apparentemente) forma di aiuto e risorsa che posseggono: il loro smartphone. Spesso, in tali circostanze, l’approssimarsi dell’esaurimento della carica del cellulare, farà salire i livelli di ansia e preoccupazione (come faccio a trovare la strada se non posso utilizzare GoogleMaps o un’altra App? Come faccio a chiamare i miei genitori o un amico per farmi venire a prendere? ecc.).
In queste circostanze un livello di attivazione detto di “monitoring”, che può essere associato alla paura di restare disconnessi, non solo è normale, ma è anche necessario a fronteggiare con prontezza e proattività (proactive coping), agendo in anticipo su una problematica che potrebbe di lì a poco emergere e diventare meno gestibile se la persona non si attiva per cercare delle strategie di problem solving. Mentre risulta patologica l’angoscia che scaturisce per la separazione (anche se momentanea) dal proprio smartphone, in circostanze dove la persona non ha alcun motivo o bisogno oggettivo di dover accedere a internet o di provare timore per la mancanza dello smartphone.
Il potenziamento della rete telefonica, inclusa quella a banda larga per la connessione dati, la possibilità di usufruire di promozioni telefoniche che permettono di fare incetta di gigabyte e chiamate illimitate e la possibilità di poter spesso, anche se non sempre, usufruire di connessione wifi, perfino dentro alcuni punti sperduti delle località geografiche più disparate, dove prima era impensabile anche poter solo fare una telefonata, ha reso l’uomo un consumatore accanito di questa tecnologia, facendolo spesse volte scivolare verso una forma di bulimia tecnologica.
Un utilizzo ottimale di questa tecnologia (smartphone, tablet, pc, etc), può aiutarci in molte circostanze, ma il loro utilizzo sbagliato e improprio potrebbe portarle a chiudersi in se stessi, sviluppare insicurezze relazionali o alimentare la paura del rifiuto o di sentirsi inadeguati.
S. Russo e P. Mirino
Fonti consultate.
A. Alter, “Irresistibile. Come dire no alla schiavitù della tecnologia”, Giunti Psychometrics, Firenze, 2017.
G. Lavenia, “Le dipendenze tecnologiche. Valutazione, diagnosi e cura”, Giunti Psychometrics, Milano, 2018
M. Spitzer, “Demenza digitale. Come la nuova tecnologia ci rende stupidi”, Corbaccio, Milano, 2019
M. Spitzer, “Connessi e isolati. Un’epidemia silenziosa”, Corbaccio, Milano, 2018
M. Spitzer, “Solitudine digitale. Disadattati, isolati, capaci solo di una vita virtuale?” Corbaccio, Milano, 2016
P. Gallina, “L’ anima delle macchine. Tecnodestino, dipendenza tecnologica e uomo virtuale”, Dedalo Editore, Bari 2015
S. Triberti, L. Argenton, “Psicologia dei videogiochi. Come i mondi virtuali influenzano mente e comportamento”, Apogeo Education Editore, Rimini, 2013
V. Caretti, D. La Barbera, “Le dipendenze patologiche. Clinica e psicopatologia”, Raffaello Cortina editore, Milano, 2005
Questo articolo nasce con intento divulgativo. Eventuali semplificazioni sono volute al fine di renderlo di più facile lettura e comprensione.